Segni nella sostanza bianca del cattivo adattamento allo stress

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 04 febbraio 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’esposizione frequente a stimoli e circostanze stressanti nelle società contemporanee è la regola per la maggior parte della popolazione attiva, con la conseguenza di un considerevole aumento di disturbi psichiatrici. Lo stress, infatti, può innescare lo sviluppo di molte malattie psichiche, peggiorare una vasta gamma di disturbi neuropsichici e internistici, ed essere causa specifica di gravi sindromi psicopatologiche quali il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e il disturbo acuto da stress (ASD). Oltre a causare un’alterazione dell’assetto funzionale di vari sistemi neuronici e di altri sistemi dell’organismo (endocrino, immunitario, ecc.), lo stress determina modificazioni al livello cellulare (plasticità sinaptica, ecc.), molecolare e dell’espressione genica.

È nozione comune che non tutti rispondono allo stesso modo allo stress, e si comprende come tali differenze individuali di risposta costituiscano un oggetto privilegiato di studi, in quanto la comparazione degli stati funzionali fra animali resistenti e vulnerabili potrebbe rivelare i meccanismi mediante i quali si esprime la resistenza naturale allo stress. Definite le basi della capacità spontanea di resistere, si potrà programmare una ricerca terapeutica mirata all’applicazione di quanto appreso dagli organismi che mostrano un buon adattamento alle condizioni che eccitano il sistema nervoso per evocazione funzionale, disturbando la fisiologia dell’organismo.

Nell’ambito di questi studi un lavoro di cooperazione franco-portoghese ha individuato nei ratti alterazioni nella microstruttura della sostanza bianca associate ad una risposta di disadattamento allo stress. I risultati dello studio, e in particolare le localizzazioni neuroanatomiche delle differenze, sicuramente indurranno riflessioni ed approfondimenti da parte di altri gruppi di ricerca.

(Magalãhes R., et al. White matter changes in microstructure associated with a maladaptive response to stress in rats. Translational Psychiatry 7 (1):e1009, Jan 24, 2017).

Gli autori fanno capo prevalentemente ai seguenti istituti: Physiopathologie des Maladies Psychiatriques, UMR_S 894 Inserm, Centre de Psychiatrie et Neurosciences, Paris (Francia); Université Paris Descartes, Sorbonne Paris Cité, Paris (Francia); Faculté de Medecine Paris Descartes, Centre Hospitalier Sainte-Anne, Paris (Francia); Neurospin 12BM, CEA, Gif/Yvette (Francia); Institute Universitaire de France, Paris (Francia); Life and Health Sciences Research Institute (ICVS), School of Medicine, University of Minho, Campus de Gualtar, Braga (Portogallo); ICVS/3B’s-PT Government Associate Laboratory, Braga/Guimarães (Portogallo).

 Stress è un vocabolo inglese il cui spettro semantico va dal significato di accento a quello di enfasi, pressione, costrizione; come verbo, to stress, si riferisce ad un’azione volta ad esercitare pressione o influenza. È tradizionalmente adoperato in fisica per indicare una forza che, applicata ad un corpo solido, lo deforma per compressione, trazione o torsione. In analogia con questo impiego il termine è stato introdotto nelle scienze biomediche”[1].

La concezione attuale dello stress prende le mosse dagli studi condotti indipendentemente negli anni Trenta da Walter Cannon e Hans Selye[2].

Cannon, che aveva introdotto il termine omeostasi per indicare l’equilibrio attivo dell’organismo e la definizione di meccanismi omeostatici per i processi necessari al suo mantenimento, identifica lo stress con gli agenti stressanti e considera lo stato fisiologico prodotto dal loro impatto come una reazione integrata ed aspecifica che l’organismo mette in atto in situazioni di emergenza[3]. Il fisiologo americano comprese e descrisse la risposta simpato-adrenomidollare, ovvero uno dei due capisaldi della reazione come la si conosce oggi.

Il principale contributo del medico ungherese Hans Selye è rappresentato dalla scoperta del secondo caposaldo della reazione di stress, consistente nell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, con la produzione di glucocorticoidi (cortisolo nella nostra specie) sotto l’azione dell’ACTH, a sua volta stimolato da un fattore ipotalamico (CRF o CRH). La risposta fisiologica ad eventi e situazioni minacciose e straordinarie fu definita dallo studioso ungherese “sindrome generale di adattamento” per sottolineare la partecipazione sistemica di tutto l’organismo e il valore di adattamento in chiave evoluzionistica[4]. Mentre Cannon identifica stress e stressors, “Selye conferisce al termine stress un nuovo valore semantico, definendolo come la somma di tutte le modificazioni aspecifiche indotte da ogni impegno fisico o psicologico in grado di provocare la sindrome generale di adattamento”[5].

Attualmente lo stress è così definito: “…uno stato di disarmonia o di alterata omeostasi che può essere provocato da vari fattori di natura fisica e/o psichica (agenti stressanti o stressors) e al quale l’organismo reagisce specificamente attivando una serie di meccanismi fisiologici di natura neuroendocrina (sistema dello stress) che innescano e/o modulano una serie di funzioni fisiche e comportamentali (risposte adattative) aventi lo scopo di adattare l’organismo alla nuova condizione e di ripristinare l’omeostasi iniziale”[6].

La possibilità di alterazioni e veri e propri danni cerebrali da stress è stata presa in considerazione da molto tempo, ma solo da poco più di vent’anni si sono avute le prove nell’uomo grazie alla metodica della risonanza magnetica nucleare (MRI, da magnetic resonance imaging); in proposito si ricordano gli studi di Bremner: “…il gruppo di Douglas Bremner intraprese uno studio per verificare l’ipotesi di danno organico. Sottoposero ad un’accurata indagine morfologica mediante RMN un campione di veterani affetti da PTSD, comparandoli con un gruppo di controllo costituito da persone non affette, ma in tutto equivalenti per caratteristiche. Risultò che gli affetti da patologia psichica da trauma avevano un ippocampo di dimensioni ridotte rispetto ai controlli normali. In particolare l’ippocampo di destra risultava, in media, inferiore dell’8%. Inoltre la gravità del disturbo di memoria era direttamente proporzionale alla perdita di volume ippocampale. Questa ricerca, condotta nel 1995, evidenziò per la prima volta un danno da stress nel cervello umano”[7].

Successivamente, i rilievi su pazienti affetti da PTSD per abusi sessuali subiti durante l’infanzia fecero registrare una riduzione dell’ippocampo maggiore a sinistra, dove raggiungeva il 12%[8]; e sempre per la formazione ippocampale dello stesso lato si arrivava al 19% nella depressione associata a stress di lunga durata[9].

Dalla documentazione dei danni cerebrali da stress allo studio delle differenze morfo-funzionali indotte nel cervello dei mammiferi da esperienze stressanti il passo è stato breve. Particolarmente interessanti sono le differenze nell’adattamento e nella risposta disadattata allo stress che interessano la fase della risposta definita da Selye di “resistenza”[10].

Magalãhes e colleghi ritengono che le specificità neurali alla base delle differenze di adattamento allo stress possono essere essenziali per comprendere le reali dinamiche dei processi alla base delle risposte e per concepire nuovi approcci finalizzati alla riduzione delle conseguenze indesiderate o tossiche delle risposte protratte ad agenti stressanti. I ricercatori hanno perciò condotto uno studio ponendo a confronto i cervelli di due ceppi di ratto, Fisher 344 (F344) e Sprague–Dawley (SD), noti per la differente reazione allo stress. Infatti, numerose osservazioni sperimentali, nel tempo, hanno valutato e comparato parametri di risposta allo stress in differenti razze di roditori di laboratorio. Ad esempio, la risposta dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA, da hypothalamic-pituitary-adrenal function) è stata posta a confronto fra ratti F344 e ratti Lewis (LEW), rilevando che questi ultimi, ipoattivi nell’omeostasi e iporeattivi agli stressors ambientali in termini comportamentali, presentano coerentemente una minore attivazione dell’asse HPA[11].

Per scoprire le differenze nelle proprietà della sostanza bianca dell’intero encefalo fra gli F344 e gli SD, i ricercatori hanno impiegato ex vivo la tecnica dell’HFD (high field diffusion) applicata alla metodica della risonanza magnetica nucleare (MRI), per studiare gli effetti prodotti da un paradigma di stress inevitabile ripetuto per due settimane. Per la valutazione dei dati, Magalãhes e colleghi hanno impiegato il metodo di analisi TBSS (tract-based spatial statistics) su un totale di 25 animali.

Dopo l’esposizione allo stress, nei ratti SD furono rilevati, nella comparazione con gli F344, valori più bassi di corticosterone, il principale ormone dello stress nei roditori.

È stato rilevato che, complessivamente, lo stress conduce ad un aumento dell’anisotropia frazionale (FA, da fractional anisotropy), in cima ad una riduzione della diffusività media e radiale (MD, mean diffusivity, e RD, radial diffusivity) in vari fasci di sostanza bianca del cervello.

Non è stato invece osservato alcun effetto del ceppo dei roditori sulle proprietà di diffusione della sostanza bianca dell’encefalo.

L’interazione strain-by-stress ha rivelato un effetto sui ratti SD nella diffusività assiale (AD), oltre che su MD ed RD, con livelli più bassi di diffusione metrica negli animali stressati. Questi effetti sono stati anatomicamente localizzati sul lato sinistro del cervello in corrispondenza della capsula esterna, del corpo calloso, della sostanza bianca profonda dell’encefalo, della commessura anteriore, del nucleo endopiriforme, dell’ippocampo dorsale e delle fibre del complesso nucleare amigdaloideo.

L’analisi dei risultati, per il cui dettaglio si rinvia al testo dell’articolo originale, sono compatibili con un adattamento del ceppo di ratti SD agli stimoli stressanti attraverso processi di plasticità sinaptica e strutturale, che con ogni probabilità sono espressione di apprendimento.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-04 febbraio 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Giuseppe Perrella, Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), p.1, Dipartimento di Neuroscienze, Università Federico II, Napoli 2005. Nel testo si cita: Aldo Calogero e Maria Cristina Serra, Lo Stress, p. 11, Piccin, Padova 1999.

[2] I primi risultati della sua ricerca furono pubblicati nel 1936 sulla rivista Nature, anche se gli articoli più citati sono dei decenni successivi.

[3] Giuseppe Perrella, op. cit., p. 3.

[4] Hans Selye, The general adaptation syndrome and the diseases of adaptation. Journal of Clinical Endocrinology 6, 117-196, 1946.

[5] Giuseppe Perrella, op. cit., p. 11; Cfr. Hans Selye, op. cit., e Aldo Calogero e Maria Cristina Serra, op. cit.

[6] Giuseppe Perrella, op. cit., p. 11. Attualmente si descrivono una risposta centrale ed una risposta periferica allo stress (v. p. 12).

[7] Giuseppe Perrella, op. cit., p. 41. Lo studio al quale si fa riferimento: Bremner D. et al., MRI based measurement of hippocampal volume in post-traumatic stress disorder. American Journal of Psychiatry 152, 973-981, 1995.

[8] Giuseppe Perrella, op. cit., p. 41.

[9] Giuseppe Perrella, op. cit., pp. 43-44.

[10] Selye descriveva una reazione di allarme la cui durata andava da poche ore ad alcuni giorni e si risolveva con il cessare dello stimolo o, talvolta, con la morte dell’animale. Se lo stress diventava cronico, Selye aveva notato che poteva svilupparsi un secondo tipo di risposta, che lui definì fase di resistenza, durante la quale si invertivano alcuni processi della reazione di allarme; ad esempio, invece di avere alti tassi di ACTH con svuotamento delle cellule della corticale, si aveva ipertrofia surrenalica come effetto di adattamento (Cfr. Hans Selye, op. cit.).

[11] Stöhr T., et al. Lewis/Fischer rat strain differences in endocrine and behavioural responses to environmental challenge. Pharmacol Biochem Behav. 67 (4): 809-819, 2000.